La censura della Mercedes a Ciriaco Campus


Il Manifesto 25.07.2010

di A. Di Ge.

  • Se la Mercedes scivola sull’arte di Ciriaco Campus
    Un colosso automobilistico che scivola sulla buccia di banana dell’arte. È successo alla Mercedes che è entrata in rotta di collisione con l’opera di un artista selezionato per promuovere il lancio nel 2011 della Smart Electric Drive, la prima macchina interamente elettrica. Lui è Ciriaco Campus, «colpevole» di voler mostrare immagini «imbarazzanti» allo Smart Urban Stage organizzato a Roma (Auditorium, in una struttura gonfiabile, fino al 31 luglio), dopo aver toccato altre città europee. Cinque curatori italiani erano stati incaricati di indicare altrettanti creativi per realizzare progetti sul tema della città del domani. Fra i dieci selezionati dalla Mercedes c’è anche Campus, «invitato» da Alberto Abruzzese. L’artista propone una visionaria CTMM, una centrale che funge da centro di raccolta per il materiale digitale (c’è anche il contenuto del cestino del computer che sarà incenerito e produrrà energia pulita).
    Il video realizzato da Campus per accompagnare il progetto è una pressa simulata che schiaccia una serie di immagini sulla storia politica, sociale e culturale degli ultimi 50 anni. Ma qualcosa va storto e il filmato non piace alla Mercedes. Che motiva così il suo rifiuto: «Alcune immagini mettono in difficoltà l’azienda, soprattutto se catturate da qualche televisione». Tra quelle super indigeste, ci sono gli ebrei ortodossi fotografati nello studio ovale con Bush e due soldati israeliani con tanto di bandiera con la stella di David. Meno che mai vengono digerite poi le automobili accartocciate della strage di Capaci e quella di un militare Usa ferito e trascinato dai compagni durante la guerra del Vietnam. Campus sostituisce allora le immagini incriminate (per sensibilità verso la Germania e i suoi «nervi scoperti») con tre nudi femminili di schiena, abbracciati come le Tre Grazie del Canova. Ma la Mercedes s’inalbera ancora e ne chiede la rimozione. Ora il video è in mostra, «muto» e tagliato. Il cortocircuito è totale: l’azienda si affida all’arte ma poi non la capisce perché troppo intrisa di «realtà» e troppo poco pubblicitaria.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *