“Non dente per dente,ma testa per dente”


La frase che fa da titolo,è una delle “celebri” frasi del generale Mario Robotti,comandante dell’XI corpo d’armata italiano in Slovenia nel 1942, oltre alla ben più conosciuta…” si ammazza troppo poco” del generale Roatta, comandante della 2^ armata italiana.

Come ANPI vogliamo porre fine alle tante polemiche lette in queste ultime settimane, sul giornale volterrano “La Spalletta”, in seguito alla cosiddetta Giornata del Ricordo del 10 febbraio, dedicata alla tragedia delle Foibe.

Ebbene ribadiamo con forza che l’atto del ricordo è un atto di carità e di giustizia verso individui o popoli, vittime a volte scomparse e cancellate nel silenzio e nell’oscurità della storia universale. La memoria è in questo senso una resistenza a questa violenza, una protezione dei deboli e degli indifesi dall’annientamento e dall’oblio.Ma la memoria è pure il fondamento di ogni identità individuale e collettiva, che si sviluppa sulla conoscenza di se stessi, anche nelle proprie contraddizioni e dei propri limiti. Non si costruisce il futuro se si smarrisce il proprio passato e il senso del cammino percorso, o peggio se si vogliono adattare situazioni di comodo, per imporre la propria “verità”.Per molti studiosi, per molti ricercatori e molti appassionati, le relazioni delle commissioni d’inchiesta sui crimini di guerra istituite dopo la fine del conflitto dai governi di Belgrado, di Tirana e di Atene presentano un linguaggio familiare: rappresaglie contro i civili, esecuzioni sommarie, incendi di villaggi, rastrellamenti, deportazioni, saccheggi… rinviano all’Italia del 1943-45 occupata dai tedeschi, dove alla forza crescente del movimento partigiano si contrappone la violenza repressiva e sanguinaria della Wehrmacht. Nelle relazioni jugoslave o greche, però, cambiano i ruoli dei protagonisti: gli occupanti che reagiscono alla guerriglia, attaccando la popolazione civile non sono soltanto reparti di SS o di Alpenjager, ma militi dei Granatieri di Sardegna, alpini della Taurinense, miliziani delle Camicie Nere; e i nomi che ricorrono, accanto a quelli marziali dei marescialli germanici, hanno il suono tutto italiano dei Gambara, dei Bastianini,dei Robotti, dei Pirzio Biroli, dei Grazioli, dei Roatta.

Allora che cosa è successo? Rilettura del passato ad uso propagandistico, maturato nell’atmosfera della nascente guerra fredda? Ribaltamento strumentale dei ruoli storici? Esagerazioni polemiche da parte di un paese che doveva nascondere le colpe delle foibe? Al di là delle sempre necessarie prudenze storiografiche, la realtà di una politica occupazionista che non risparmia i civili e fucila senza processi resta in tutta la sua drammaticità: la documentano le circolari del regio esercito che prescrivono le modalità della repressione, le dichiarazioni di alti esponenti politici e militari, i registri dei campi di internamento per slavi, i manifesti bilingue che minacciano i “banditi” della Dalmazia, del Montenegro, della Slovenia, dell’ Albania e della Grecia. La documentano le richieste di estradizione inoltrate dalla commissione delle Nazioni Unite per i crimini di guerra, le tante lettere di soldati dal fronte, che mescolano miseria per la propria condizione e furore verso il nemico, la documentano gli imbarazzi e le reticenze del governo di Roma, le troppe pagine di controdeduzioni scritte dagli accusati, le consultazioni preoccupate fra le diverse sedi diplomatiche, le pagine di diari sofferte, i tentativi di rimozione e insabbiamento.

E’ successo insomma, che dal giugno 1940 al settembre 1943, gli italiani hanno combattuto la stessa guerra d’aggressione della Germania nazista ma, subito dopo, hanno voluto dimenticarla e l’hanno rimossa dalla propria coscienza nazionale: una reazione per superare il peso di un passato ingombrante e, insieme, una scelta politica precisa, per scagionare il paese dalle responsabilità dell’Asse e restituirgli una sorta di verginità morale. L’Italia repubblicana ha volutamente dimenticato l’Italia imperiale, quella all’ombra del Reich, quella che ha attaccato la Francia, trasformato la Slovenia in provincia e la Dalmazia in governatorato, occupato il Montenegro, la Grecia, le Isole ionie ed egee; ha dimenticato di dire che la ritirata da un paese nemico presuppone una precedente avanzata e un relativo modello occupazionale, presentando la campagna di Russia, la sacca del Don e l’odissea dell’Armir come episodi eroici dei soldati italiani brava gente. Cosa dire poi sulla politica coloniale in Africa, della riconquista della Libia negli anni venti, dell’occupazione dell’Etiopia ?

In realtà, “dimenticare” non è termine corretto: ciò che è stato rimosso è la modalità dell’occupazione, la guerra combattuta in regioni dove gli italiani erano percepiti dalla popolazione come aggressori e come tali contrastati, modalità di guerra dure e spietate, che in Grecia erano rese ancora più drammatiche dalla penuria alimentare e in Jugoslavia dai feroci contrasti etnico-politici che contrapponevano ustascia, cetnici e titoisti.

Ad assicurare il meccanismo della rimozione delle colpe è intervenuto lo stereotipo rassicurante e autoassolutorio dell’italiano bravo soldato, fondamentalmente buono, persino un po’ mammone, un’autorappresentazione collettiva ormai sedimentata nella coscienza nazionale, che in Africa prestava un’opera pacifica e laboriosa di civilizzazione e in Grecia, come nel film di Salvatores “Mediterraneo”, fraternizzava con la popolazione giocando a carte con i vecchi e a pallone con i ragazzini, ballando il sirtaki, affrescando le chiese.

Questo stereotipo rassicurante si è autoalimentato dopo l’armistizio dell’8 settembre, nel confronto con la violenza germanica. Le stragi sistematiche commesse dal nazismo hanno permesso di relativizzare le nostre colpe. Il bieco teutonico di risorgimentale memoria è diventato il camerata che ha eseguito gli ordini più efferati con meccanica obbedienza, che a Sant’Anna di Stazzema e a Marzabotto ha massacrato senza pietà e senza rimorsi donne e bambini, che ha ammassato nei carri bestiame gli ebrei ma, di fronte ad Auschwitz, scompaiono le colpe dei campi di internamento italiani di Arbe o di Gonars, così come di fronte alla Fosse Ardeatine, alla Benedica, a Caiazzo, scompaiono i villaggi sconosciuti ed introvabili di Vrebac, di Kastoria,di Trikaba, messi a ferro e fuoco dalle nostre truppe.Erano italiani quelli che arrestavano gli ebrei, erano fascisti italiani, quelli che accompagnavano i soldati tedeschi nelle case dei contadini per le rappresaglie.

Inadeguati e fuorvianti per comprendere il passato, i miti e gli stereotipi sono però utilissimi per capire l’epoca nella quale si sono prodotti: la rielaborazione della memoria è infatti l’atto costitutivo di una generazione, in questo senso “italiani brava gente” è un tassello centrale nelle ricostruzione del passato nazionale, quale va definendosi negli anni compresi tra la caduta del fascismo e la promulgazione della Costituzione repubblicana.

Questa rielaborazione, che evita di fare i conti con il passato, è funzionale a tutta la classe dirigente dell’Italia post-bellica; una lettura assolutoria del Ventennio, che attribuisca tutta la responsabilità al fascismo omettendo tutte le complicità e che permette di far transitare da un prima a un dopo, senza traumi, senza epurazioni, senza colpe. Rimozione di tutto ciò che riguarda le campagne d’aggressione e la sconfitta,diventano così “indicibili” le foibe e le migliaia di profughi giuliano-dalmati, immagine stessa della guerra persa, si tace dell’occupazione dei Balcani e della Grecia, non si parla degli italiani prigionieri di inglesi, francesi, americani e russi. Ancor più non si deve parlare di crimini e criminali di guerra.

Dal punto di vista del realismo politico si arriva a teorizzare il cosiddetto baratto delle colpe: un’ondata di processi contro i criminali tedeschi sarebbe un fatale boomerang perché solleverebbe la questione dei criminali italiani. Quindi la parola d’ordine è occultare.

695 fascicoli processuali sui crimini nazifascismi vengono provvisoriamente riposti nella sede della Procura militare a Roma, in uno sgabuzzino di Palazzo Cesi e li rimarranno fino al 1994!!

Per non essere giudicata, l’Italia rinuncia a giudicare!!!

Nessuno ha più interesse a sollevare la questione dei crimini di guerra: non l’Occidente negli anni cinquanta, che metterebbe in crisi il reinserimento della Germania federale nel suo schieramento geopolitica; non la Jugoslavia, che dopo la rottura tra Tito e Stalin è diventata interlocutore dell’ Europa democratica; non l’Italia, che ha costruito la propria normalizzazione sulla rinuncia a fare i conti con il passato.

I crimini sono troppo scomodi per il presente: meglio lasciarli senza giustizia e senza memoria, così ognuno potrà gridare la sua verità di comodo e non ci idignamo più, nemmeno di fronte ai tanti e nuovi rigurgiti di fascismo, quello peggiore,  più bieco e ignorante.

L’ANPI però e qui, tra la gente, con la volontà mai domata di impegnarsi per l’affermazione della memoria e della verità storica, anche in questo momento, nel Paese dell’illegalità legalizzata e della giustizia privatizzata, nel Paese che gronda lacrime e sangue in questa seconda repubblica, nata dalle stragi e dalle trattative Stato – mafia, in questo Paese dove anche la Rai si scusa per l’interruzione; “ la libertà d’informazione riprenderà appena torneremo in una democrazia liberale, grazie”.

ANPI Sez. di Volterra


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