Dario Fo sul razzismo


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di Dario Fo
FUORI DAL BARATRO
Dobbiamo ripeterlo, all’infinito. L’Italia che ha introdotto il reato d’immigrazione clandestina, l’allungamento della detenzione preventiva, che pratica i respingimenti azzerando il diritto d’asilo, è un paese sul baratro.
È in atto, qui e ora, una trasformazione violenta della nostra natura, un capovolgimento antropologico, una corruzione storica. Ne viene modificata la ragione d’essere di un popolo, le basi costitutive della convivenza tra gli umani e la cancellazione insieme delle basi del diritto universale come del cuore solidaristico ed egualitario della nostra costituzione.
Una delle culture profonde e fin qui radicate che così rischiano di venir meno è quella dell’asilo, del soggiorno e dell’ospitalità, tradizione positiva di quella che chiamiamo «nostra civiltà». Con i respingimenti e con le ronde che privatizzano e aizzano all’odio sulla sicurezza, tutti i giorni la civiltà è negata. Negato quel diritto all’asilo che esisteva nelle chiese cristiane 2000 anni fa e che era parte costitutiva della realtà dei Comuni che garantivano la salvezza del fuggiasco e dell’oppresso che si era liberato dal servaggio del vassallo. «Sei salvo», dicevano offrendo libertà e lavoro. Poi si dicono cristiani. Non sanno neanche che cosa significhi. Perché il cristianesimo è accoglimento, la prima regola, il primo atto d’amore verso il cacciato. C’è una cosa che io recito in questi giorni con Franca Rame su Ambrogio: sant’Ambrogio in un suo discorso che tiene ai parrocchiani ad un certo punto se la prende con i ricchi e dice: «Ricordati che quando sentirai lamento e bussare alla porta, alla tua porta, mentre sei al tiepido e tranquillo e coperto, colui che viene a bussare è un uomo e quell’uomo si chiama Gesù». Pensa un po’.
Di più. La cosa orrenda è che noi ormai siamo pronti ad accettare l’ospitalità solo se è pagata bene. Se chi viene a chiedere ospitalità ha la possibilità di pagarci. Eppure nello scambio ineguale i miseri siamo noi e l’arricchimento tra le culture sembra una favola affondata, colata a picco con la disperazione dei naufraghi dei barconi, dentro le apparenze-verità televisive. Ecco che crolla quella sensibilità minuta del vivere, patrimonio fin qui diffuso. Prima si diceva: nessuno riceverà solo un bicchier d’acqua se dirà ho sete alla nostra porta, noi daremo il vino. È un’espressione che c’è in Veneto, in Lombardia, in Piemonte, in Sicilia, dappertutto. Offriamo a chiunque, prima ancora che quello chieda. E oggi l’unica cosa che sappiamo dire, grazie alla destra di governo, al populismo razzista che alimenta, ma anche ai molti ritardi e silenzi di quella che ancora ci ostiniamo a chiamare sinistra è: vattene via.
Hanno diritto all’accoglienza perché hanno diritto a fuggire dalla guerra, dai regimi dittatoriali che noi spesso aiutiamo per le materie prime da sfruttare. E perché rifiutano la miseria e la fame. Lo dice l’Onu che c’è un miliardo di esseri umani ridotto a morire perché in assenza di cibo nelle periferie e baraccopoli dei continenti depredati come l’Africa e l’Asia. E noi offriamo di caldo solo il razzismo che è l’anticamera, aperta, del fascismo.
Oggi in piazza e ogni giorno nella realtà quotidiana dobbiamo essere in tanti per fermare questa deriva, per gridare che i migranti siamo noi.

Il manifesto 17 ottobre 2009


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