Strage di Piazza Loggia, io so!


Gianluigi Berardi è stato, per un anno, professore d’italiano al liceo classico di Volterra e io ho avuto la fortuna di averlo come insegnante in prima liceo.  Ha scritto questa lettera pubblicata da Liberazione il 20 giugno 2010, che mi fa piacere riproporre sul mio blog.

Caro direttore, ti invio questa lettera parafrasando una celebre nota sul “Corsera” di Pier Paolo Pasolini. L’ho già indirizzata al “Giornale di Brescia” che ha scelto di non pubblicarla. Ti sarò grato se vorrai farlo tu.
«Io so chi ha messo la bomba in Piazza Loggia, la bomba che ha dilaniato anche molti miei colleghi, amici e compagni, e che – per una differenza di pochissimi minuti – non ha ucciso anche me.
Io so anche chi l’ha fatta mettere, alla ricerca vana d’una reazione violenta che provocasse una stretta autoritaria.
Io so che Buzzi è stato ucciso perché non lo rivelasse. Io so chi, fin da subito, ha depistato le indagini con successo fino a qualche anno fa.
Io so che insospettabili Presidenti del Consiglio dei Ministri diffidavano dei Servizi (non di frange così dette “deviate”, non molti erano, d’altra parte, i Calipari) che in teoria sarebbero dovuti dipendere da loro, e so che non per caso, nei giorni subito dopo la strage, il ministro Taviani sciolse l’Ufficio Affari Riservati del Ministero degli Interni.
So tutto questo perché, da filologo, ho potuto mettere insieme frammenti di notizie e di testimonianze. Io lo so, ma non ne ho le prove. Spero che finalmente la magistratura bresciana, con cui sono solidale, possa raggiungerle. Ma in ogni caso lo so, e lo devo dire.
Ricordo con struggente malinconia d’essere stato tra le ultime persone che hanno salutato viva Giulietta Banzi Bazoli, allora mia collega al Liceo Arnaldo.
So di aver incontrato all’Ospedale medici esterrefatti e inorriditi, e ricordo con ammirazione, ai funerali, cui ho partecipato unendomi alle civili proteste, il comportamento esemplare di Luigi Bazoli. Penso che giustizia debba essere fatta e che piazza Loggia non debba restare fra i troppi “misteri” italiani. Perciò voglio rendere, oggi, questa testimonianza».

Gianluigi Berardi, Brescia


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